Presepe Vivente ambientato nel Quartiere di San Vito nel cuore di Cammarata, in provincia di Agrigento. Per accedere a la Rocca si attraversa "U patu", l’arco arabo. Il quartiere che finisce a strapiombo con le case per la maggior parte in pietra e ormai disabitate, con piccole finestre e porticine in legno sulle quali spesso è affissa una croce e da dove ci si aspetta che ad un tratto esca un personaggio dai tratti orientali che, gentilmente, ci saluti e ci auguri la buona sorte: un salto indietro nel tempo, in quel territorio dove duemila anni fa, una coppia cercava asilo.
Ecco Cammarata, un paese da molti descritto come un paese-presepe per la suggestiva collocazione arroccata in un pendìo con le casupole tutte vicine e ammassate, ricorda gli scorci dell’antica Palestina, un’atmosfera di sospensione atemporale. Sembra che il passato prenda il sopravvento sul presente; riprende vita una comunità contadina tipica dei primi anni del Novecento: curatissimi sono i costumi e le scenografie, altissima è la partecipazione della gente di Cammarata e di San Giovanni Gemini, coinvolta nelle scene e nell’allestimento. Gli oltre 150 figuranti, animano una trentina di scene, fanno rivivere scorci di vita quotidiana. Tra le strette vie si gusteranno i sapori della nostra cucina preparati come una volta.
Il Presepe Vivente di Cammarata Attori e spettatori di un antico teatro.
Il presepe ha inizio sotto l’antico arco arabo di via Coffari, « u patu », che introduce il visitatore in uno spazio e un tempo «altro». Incontriamo «u firraru» che riscalda il ferro per poi batterlo e modellarlo a suo piacimento, «u scarparu» mentre acconcia le scarpe rotte; «li raccamatrici», che ricamano vari tessuti in una stanza riscaldata dalla brascera; «a furnara» intenta a cuocere il pane nel forno a legna; «u picuraru» che prepara la ricotta.
Dentro una stalla è allestito « u Museo»: il figurante, nei panni del contadino, ci enumera i piccoli e grandi utensili e gli attrezzi da lavoro del mondo contadino. «u Fasularu», che dal suo pentolone dispensa ai passanti un buon mestolo di fagioli cotti. «u Picuraru», vestito di tutto punto con la vraca, fatta di lana di pecora. Di seguito ci si addentra in una scena senza tempo, « A Capanna», luogo ierofantico per antonomasia, culla dello spazio sacro, dove San Giuseppe, Maria e il Bambino Gesù sono interpretati da persone in carne e ossa:fanno da sfondo un bue e un asino in una cornice di paglia e vimini.
Proseguendo ci si ferma davanti «u Furnaru», dove brave panettiere impastano, infornano e condiscono con olio nuovo ottimo pane caldo, la cui fragranza ristora i visitatori. Verso la Rocca, si visita la bottega «u Scarparu » chinato al tavolo da lavoro, per riparare e acconciare suole e vecchie scarpe; di seguito «u Siggiaru» che ripara e costruisce sedie e si intreccia anche le fibre vegetali per realizzare i panara. « U Varvìari», un salone essenziale dei primi anni del Novecento; «u Falignami», curvo sul suo piano da lavoro in mezzo a seghe e pialle; « u Firraru», impegnato con i suoi strumenti: forgia, mantice, incudine, chiodi, chiavi, aratri ecc.. L’odore delle mandorle e dei fichi avvolge la bottega di «u Pizzarrunaru» che ha appena sfornato i suoi dolci natalizi.
Fuori dal baglio incontriamo due ciaramiddari che con musiche e canti natalizi allietano l’atmosfera del presepe. Di seguito, le grida di alcuni uomini apparentemente brilli ci attraggono dentro «a Taverna». Qui alcuni, vestiti a dovere con abiti scuri, coppola in testa e scapuccina, giocano a carte,altri bevono, altri suonano u marranzanu cantando vecchi stornelli. Il vociare confuso e allegro di alcune donne annuncia che si è nelle vicinanze di una «Putia»: nella piccola bottega due donne, con la brascera a terra, vendono i prodotti della terra: pomodori, verdura, frutta insieme ad altri alimenti essenziali come lo zucchero, il sale e i legumi; i prodotti del mercato povero di allora: farina, pasta, zucchero, caffè, lenticchie, stoccafisso, formaggi appesi al filo, i fichidindia, l’alloro, la cannella, i fiori di camomilla, le mele cotogne, lo astratto e le sorbe.
Più in là, un buon odore di ceci cotti ci spinge nella capanna «du Ciciraru». Si entra poi nello splendido laboratorio di « u Sculturi»: qui è possibile ammirare capolavori di pietra in miniatura. In un altro spazio, «u Spremiracina» stuzzica i passanti con l’odore forte e pungente del buon vino cotto.